Emergenza siccità: il Parmense rischia di soffrire la sete, tavolo tecnico al...

Emergenza siccità: il Parmense rischia di soffrire la sete, tavolo tecnico al Consorzio di Bonifica

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Ilenia Rosi, presidente della Cia, Mario Marini presidente di Confagricoltura, Luigi Spinazzi, presidente del Consorzio di Bonifica, e Luca Cotti presidente di Coldiretti

L’emergenza era ieri, oggi il Parmense rischia di morire letteralmente di sete. Lo hanno detto tutti: vertici della Bonifica Parmense, rappresentanti delle organizzazioni agricole, sindacati, associazioni, politici e tecnici. Tutti riuniti nella Casa dell’Acqua, sede del Consorzio di Bonifica, dove il presidente Luigi Spinazzi e il direttore Meuccio Berselli hanno disegnato scenari davvero tragici a causa dell’abbassamento del livello della falda acquifera che alimenta i sistemi di irrigazione in un territorio che ha fatto della sua agricoltura una vera eccellenza. E l’alta pressione con le temperature elevate che si protrarranno ancora per diverse settimane, non faranno altro che aggravare ancor di più la situazione.

Meuccio Berselli, direttore della Bonifica Parmense

Si è insediato quindi un tavolo tecnico al quale siedono tutti gli attori – dal Consorzio ai rappresentanti delle categorie economiche, fino agli amministratori locali – con l’obiettivo di fare bene e presto perché, come ha sottolineato Meuccio Berselli concludendo la presentazione di dati più che allarmanti, “domani non ci salteremo più fuori“. E il danno per il sistema agricolo Parmense, ha spiegato sempre il direttore del Consorzio, è stimale in 60 milioni di euro. Berselli ha inoltre messo tutti sull’avviso: ben presto sarà indispensabile prelevare dai corsi d’acqua, derogando a quello che il loro flusso minimo vitale.

La pressoché totale mancanza di piogge e neve nel periodo invernale e primaverile, unite all’innalzamento delle temperature portate dagli anticicloni africani, hanno infatti causato l’abbassamento delle falde, la drastica diminuzione delle portate dei torrenti appenninici e l’incertezza, ormai endemica, di costanti prelievi dal Po ancora una volta ampiamente sotto i livelli minimi registrati negli ultimi anni.

Non solo, nel frattempo si registra anche un aumento di previsione del fabbisogno locale e complessivo (attorno al 30%) di acqua per l’agricoltura e le tipologie colturali del nostro territorio che, mantenendo l’attuale approvvigionamento idrico, porteranno a breve a disegnare uno scenario di grave crisi del settore e con pesanti ripercussioni sull’economia agroalimentare. Come ha sottolineato tra l’altro l’agronomo Giacomo Corradi, già oggi non potremmo più permetterci di irrigare le colture in prati stabili ed ha quindi invitato il tavolo tecnico ad adottare da subito “scelte importanti ed impopolari“, oltre che procedere alla “revisione dei sistemi colturali tradizionali” ormai non più sostenibili.

All’incontro sono intervenuti i vertici delle organizzazioni agricole: Mario Marini per Confagricoltura, Luca Cotti per Coldiretti, e Ilenia Rosi della Cia. Tutti chiedono soluzioni adeguate per trattenere le acque meteoriche, che cadono meno, in maniera più violenta e finiscono dei canali che portano al Po. In una parola: invasi. Quelle opere ritenute ormai indispensabili per la sopravvivenza, ma sulle quali si consumano durissime contrapposizioni. Come nel caso di Medesano, dove le opere in grado di assicurare 3 milioni di metri cubi di acqua – come ha sottolineato Berselli – sono ancora così indietro che non saranno disponibili per alcuni anni. Quelle opere che Marini definisce “scelte drastiche e rapide“. Luca Cotti ha inoltre tirato fuori una ferita ancora aperta: la cassa di espansione del Baganza. Il presidente di Coldiretti si è stupito del fatto che in un progetto così vasto e costoso non sia stato previsto “nessun progetto su come utilizzare l’acqua che si accumula” e che potrebbe rappresentare una soluzione importante per la zona.

 

Presenti anche i consiglieri regionali Barbara Lori e Alessandro Cardinali, che hanno concordato sulla necessità di prevedere subito una soluzione connessa alla cassa di espansione del Baganza. Ma Cardinali ha anche aggiunto che in Emilia Romagna mancano ancora i “progetti fiume”, cioè quelle previsioni che consentono di sfruttare adeguatamente il corso d’acqua, dalla sorgente alla foce. Non solo, i due consiglieri si sono impegnati a chiedere anche la revisione del regolamento sul deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua, il cui rispetto assoluto spesso conduce alla perdita di importanti risorse.

Infine il vicepresidente della Provincia, Amilcare Bodria, ha ricordato come del problema si parli ormai da mezzo secolo, ma nonostante tutto la politica non è mai riuscita a dare risposte adeguate ai cittadini. In particolare ha citato la diga di Vetto, un progetto da 200 milioni di euro che da solo “avrebbe risolto questo problema nelle province di Reggio e di Parma“.

Passando dalle dichiarazioni ai numeri concreti, il 2017 si sta rivelando un vero e proprio annus horribilis sotto l’aspetto del clima. Le temperature sono state superiori di 5°/6° C rispetto alla media stagionale, tanto che è siamo nella primavera più calda dal 1830. Le precipitazioni sono diminuite del 50%-60%, tra i 300 e 400 mm. Ma non è un caso: il calo è costante dal 2001 al 2016, tanto che si può parlare ormai di situazione costante. La falda superficiale registra una diminuzione media di 1,26 metri riscontrata nelle misurazioni condotte fra il 9 giugno di un anno fa e di quest’anno.

Ed ancora il Po, le cui portate mensili primaverili sono inferiori alla media di lungo periodo alla sezione di Piacenza e inferiori alle medie di lungo periodo in tutte le altre sezioni di misura. Il periodo primaverile 2017 è stato inoltre caratterizzato da deflussi fluviali decrescenti e inferiori alle medie del periodo. Si segnala solo l’evento del 26-28 aprile, quando si sono verificate deboli aumenti di portata, su gran parte dei corsi d’acqua della Regione, e incrementi idrometrici più consistenti nei tratti arginati del Taro, Parma, Enza, Secchia, Panaro, Santerno e Lamone.

Di contro il fabbisogno irriguo stimato è il più alto dal 2011. La domanda irrigua media per il parmense si attesta in 113 milioni di metri cubi. Quella regionale passa da 930 a 1127 milioni di metri cubi. Insomma, meno acqua c’è, più ne serve per andare avanti. Adesso il tavolo tecnico dovrà tirare fuori subito delle soluzioni di immediata applicabilità, in caso contrario fra qualche mese – perdurando questo clima – non ci sarà più acqua per i campi. E forse anche nei rubinetti di qualche casa.

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