Quel giorno che Pietro Barilla cercò di comprare la ditta di Giovanni...

Quel giorno che Pietro Barilla cercò di comprare la ditta di Giovanni Rana

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ranaAffari e Finanza dedica una gustosa intervista a Giovanni Rana, il re del tortellino fresco. Lui ha messo in piedi un’azienda gioiello che ha tecnologie all’avanguardia se è vero che occorrono come spiega il giornale quatro minuti per grattugiare una forma di parmigiano di 40 chili. La farina che scende da silos da 600 o 900 quintali. Macchine “formatrici” in grado di preparare dai 200 ai 500 chili di tortellini all’ora.

Gargantua e Pantagruel sarebbero felici in questa immensa fabbrica di cibo. Per dare un’idea delle dimensioni di questa “cucina”, basta ricordare che con dieci uova e un chilo di farina si fanno tagliatelle per dieci persone. Qui di uova se ne usano fra le 700 mila e le 800 mila al giorno.

 

“In tanti mi hanno chiesto – dice subito Giovanni Rana, classe 1937 – se il mio successo dipenda più dalla qualità o dalla pubblicità. Io spiego che la pubblicità serve a incuriosire, per invitare a un primo assaggio. Ma se poi non c’è la qualità, tutto si ferma lì, e tu hai buttato anche i soldi per la pubblicità. Sono stato il primo, in Italia, a metterci la faccia. Scendono dai tir refrigerati prosciutti e carni di manzo, mozzarelle e ricotte, carciofi e radicchi, funghi e salsicce. Renzo Gugole fa l’assaggiatore. “Abbiamo tutti gli strumenti per il controllo di qualità ma è necessario usare anche il palato. Ecco, assaggi anche lei”.

Mascarpone fresco, ricotta, formaggio Monte Maria. “Non sono mai confezioni industriali. Ogni prodotto ci arriva come se fossimo andati noi a comprare il singolo pezzo. Altrimenti come potresti controllare un misto di formaggi o blocchi di carne macinata?”.

Celle frigorifere per i formaggi di capra francesi, radicchi di Chioggia, funghi porcini. Farine che scendono dai silos (“ogni fornitore ha il suo così riusciamo a individuare subito chi provoca problemi”) e tubi a pressione che portano le uova sgusciate. “In meno di un’ora – racconta Roberto Ciceri, direttore dello stabilimento – dalle materie prime si arriva al prodotto finito, che viene pastorizzato poi entra nella ‘camera bianca’ per essere confezionato in atmosfera modificata”.

C’è un fornello acceso, accanto alla macchina dei ravioli. “C’è subito un assaggio, prima del confezionamento. Ogni dieci minuti l’addetto cuoce e mangia”.

Ho cominciato a fare tortellini a 22 anni. Da quando ne avevo tredici, dopo due anni della scuola di avviamento, lavoravo nel forno con i miei due fratelli più grandi. Quando siamo cresciuti mia mamma Teresa mi chiese: adesso ti fai un forno tutto tuo? No, voglio fare la pasta ripiena. Io al mattino facevo il giro di una ventina di negozi, per portare il pane. Vedevo che i bottegai, con gli avanzi di mortadella e formaggi, si erano messi a fare i tortellini, per non buttare via nulla. Non erano una gran cosa, dipendeva da cosa ci mettevano dentro. Se io li faccio sempre buoni mi sono detto – mi farò un mercato. Le donne avevano cominciato a lavorare in fabbrica, non avevano più tempo per la cucina”.

Tre anni fa ha aperto lo stabilimento di Chicago e là siamo già arrivati a 146 milioni di dollari di fatturato.

Ora investe 40 milioni per un secondo stabilimento americano”. Tutti i dipendenti – veri, non attori – nell’ultimo spot dicono: “Io sono Giovanni Rana”.
Ho capito che il pastificio stava diventano una cosa importante quando è venuto a trovarmi Pietro Barilla, che mi chiese di comprare una bella quota della mia società. La Nielsen – erano i primi anni ’90 – aveva pubblicato un’indagine che prevedeva un aumento del 20–30% della pasta fresca ripiena. Mi furono fatte offerte anche dalle multinazionali. Pietro Barilla mi invitò a casa sua, mi mostrò la sua collezione di quadri. C’era un bellissimo cavallo bianco di Guttuso. Io dissi al dottor Pietro: perché non vende quel quadro a una multinazionale? E lui mi disse: è troppo bello, a me e ai miei figli piace tanto. Vede – dissi io – io ho solo un asinello, ma io e mio figlio ci divertiamo tanto”.

 

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