“Scrivere sulle confezioni della pasta se è grano italiano”. Ma Barilla: “norma...

“Scrivere sulle confezioni della pasta se è grano italiano”. Ma Barilla: “norma sbagliata”

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Il decreto che non piace a Barilla prevede l’obbligo di indicare per il riso il luogo di coltivazione, di lavorazione e di confezionamento e che solo se le tre fasi si svolgono qui, si possa utilizzare la dicitura “origine del riso: Italia”. Per i pacchi di pasta secca si prevede il luogo di coltivazione del grano e quello di provenienza della semola. La questione era già emersa alcuni mesi fa, quando la Commissione Ue aveva messo la discussione all’ordine del giorno ed era stata accolta con soddisfazione da Coldiretti, che come per la provenienza delle olive dalle quali si estrae l’olio, si sta combattendo per ottenere anche questa certificazione.

“L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy», è il commento del presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che «in un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti».

“Finalmente sarà possibile smascherare l’inganno di un pacco di pasta su tre fatto con grano straniero senza indicazione, come pure per un pacco di riso su quattro, dopo il boom delle importazioni da paesi asiatici come il Vietnam che ha aumentato le proprio esportazioni di riso in Italia del 346 per cento nel 2016”, ha concluso Roberto Moncalvo.

A pensarla diversamente è però Paolo Barilla, presidente di Aidepi (Associazione industrie dolce e pasta italiane) e vice presidente Barilla. “Il decreto, non informa correttamente il consumatore, rischia di far credere che ciò che conta per una pasta di qualità è l’origine del grano. E questo non è vero”, a parere di Barilla, imporre un obbligo che altre aziende non hanno “avvantaggerebbe i concorrenti”.

L’Aidepi, per questo, ha presentato il ricorso al Tar del Lazio contro il decreto legge sull’etichettatura del grano voluto dal Governo che obbligherà da febbraio 2018 i pastai italiani a indicare in etichetta l’origine del grano utilizzato per produrre la pasta. Insomma, per Barilla l’etichettatura “non è sinonimo di qualità e il consumatore potrebbe addirittura pagare di più una pasta meno buona. E l’industria della pasta, con un prodotto meno buono, perderebbe quote di mercato soprattutto all’estero”.

Ma le associazioni dei consumatori condividono il decreto e tre mesi fa hanno scritto una lettera pubblica alla Barilla: “Gentili Paolo e Guido Barilla, da anni chiediamo alle aziende produttrici di pasta di indicare in etichetta l’origine del grano duro utilizzato. Lo abbiamo fatto nel 2014 dopo avere ricevuto da voi e da altre aziende come Divella, Garofalo, De Cecco, la Molisana… la conferma della necessità di utilizzare una parte di grano duro canadese, francese, australiano… per fare la “migliore pasta del mondo”.

“In questi mesi Coldiretti, insieme ad altre lobby di minore profilo, ha impostato campagne mediatiche contro il grano importato, lanciando accuse prive di riscontri che però hanno influenzato molto l’opinione dei consumatori. La lobby degli agricoltori, pur utilizzando metodi discutibili, ha focalizzato l’attenzione su una legittima richiesta: sapere da dove arriva il grano duro”.

“Come due anni fa vi abbiamo invitato a sostituire l’olio di palma dai prodotti Mulino Bianco. Apparentemente non avete preso in considerazione il nostro appello, salvo poi cambiare frettolosamente idea quando vi siete accorti che le vendite dei prodotti contenenti olio tropicale segnavano una costante flessione. Questa volta l’invito è più semplice, si tratta di scrivere sulle etichette da dove arriva il grano duro, come fate da anni per la pasta Voiello. L’alternativa è continuare ad essere travolti dalle campagne folcloristiche delle lobby che distruggono l’immagine della pasta italiana”.

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