Economia in chiaroscuro e Camera di Commercio dell’Emilia, il presidente Zanlari: “La...

Economia in chiaroscuro e Camera di Commercio dell’Emilia, il presidente Zanlari: “La politica locale torni a ‘sporcarsi le mani'” (Video intervista)

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Nasce con sede a Parma la Camera di Commercio dell’Emilia, la più grande della regione, in un quadro economico ancora in chiaroscuro, dove l’export continua a tirare ma il commercio langue (nuove chiusure in arrivo) e le famiglie vivono momenti di grave difficoltà. A tracciare lo stato dell’arte è il presidente della Camera di Commercio di Parma, Andrea Zanlari, 65 anni, che lancia anche un forte richiamo alla politica locale perché torni “a sporcarsi le mani” senza “girarsi dall’altra parte“, ascoltando il “grido di dolore che viene da una grossa parte della città”.

Nella sua lunga carriera in Camera di Commercio, Zanlari ha ricoperto incarichi di primo piano anche a livello regionale e nazionale nell’ambito del mondo camerale, che non lo hanno però mai distolto dalle sue due grandi passioni: la pittura e la storia. Nè dalla guida della Stazione sperimentale per l’Industria delle Conserve alimentari di Parma, recentemente trasformata in fondazione, dalla quale escono importanti studi e progetti a sostegno del settore.

Presidente Zanlari, con Piacenza e Reggio Emilia nasce a Parma la più grande Canera di Commercio della regione. Con quali obiettivi?

L’obiettivo è dare un maggior servizio alle imprese del territorio. La riorganizzazione del sistema camerale oggi in Italia – anche se con il referendum c’è stata una frenata – rappresenta una delle opportunità di sviluppo del sistema economico. Una Camera di Commercio che raggiunge circa 170 mila imprese e che ha nel suo patrimonio genetico tutte le grandi aziende che sono nella provincia di Parma, le imprese manifatturiere importanti che sono in quella di Reggio Emilia e quelle che rappresentano una lunga storia di investimenti fatti sul territorio di Piacenza, credo abbia le dimensioni opportune per affrontare la sfida internazionale. Faccio un esempio: abbiamo trattato con alcune province cinesi, ma la più piccola di queste ha 92 milioni di abitanti e noi solo 400 mila“.

Al di là di dover far fronte anche al dimezzamento degli oneri camerali, quali vantaggi concreti, da questa fusione, possono avere le imprese di Parma?

Il dimezzamento c’era già nel 2016 e ci sarà anche quest’anno. Facendo massa critica, però, e cambiando un po’ pelle come prevede il decreto, saremo in grado di dare servizi molto più efficaci. Rimane ancora da capire a chi va l’internazionalizzazione, se alle Pmi delle Camere di Commercio o ad altri enti. Mentre per quanto riguarda la formazione scuola-lavoro è una nuova competenza delle Camere di Commercio, che stanno già predisponendo dei programmi di sviluppo insieme alle Regioni“.

Non è un mistero che i campanili sono duri a morire ed è già stato fatto un passo enorme in avanti. Ma quali saranno i criteri per definire la nuova governance della super Camera di Commercio?

Questo ente è stato pensato da un Governo che immaginava di abolire le Province. Oggi mi sembra che le Province avranno ancora vita lunghissima, quindi credo che qualcosa sia già in pentola a Roma per avere delle modifiche in tal senso. Il localismo è certamente una ricchezza – noi ci chiameremo Camera di Commercio dell’Emilia – quindi abbiamo un’espressione vasta che tende la mano anche a Modena, che ha 94 mila imprese. Quindi il primo aspetto è avere un’area vasta importante. Il secondo è la possibilità che le associazioni che oggi sono referenti delle Camere di Commercio possano arrivare ad avere la stessa fusione, creando la stessa massa d’urto nello sviluppo dell’economia. Oggi l’economia soffre moltissimo per le imprese minori e queste vanno sostenute e ciò può avvenire solo attraverso una grande alleanza di territorio. Penso che bisognerebbe spendere meno in cose che si riproducono – penso alle infrastrutture autoriprioducenti – e pensare di più alla mondializzazione“.

Quindi l’imperativo rimane l’export?

Oggi qualcosa sta cambiando. In questi anni di crisi, specialmente negli ultimi quattro, l’export è stato il vero salvagente della nostra economia. Ma ciò con tutte le conseguenze del caso: non c’è stata una crescita dei consumi; c’è un impoverimento delle famiglie; un impoverimento molto vasto della società. Una situazione che fa ricordare, forse in maniera più lenta, la crisi del 1929. Oggi dobbiamo pensare a mettere insieme i vantaggi dati da una mission più vasta e le opportunità di crescita“.

Tante situazioni di difficoltà ci sono anche a Parma. Qual è il quadro dell’economia parmigiana oggi e quali le prospettive del prossimo futuro?

Il quadro di oggi, di questo mese di febbraio che sta finendo, a mio avviso, con la scarsa adesione ai saldi che hanno dato i parmigiani, caratterizza quasi in assoluto la crisi del sistema del commercio. Questo ormai è un dato di fatto. C’era stato qualche risveglio in novembre, ad inizio dicembre, un Natale accettabile, adesso il calo che rappresenta l’anticipo di un certo numero di chiusure soprattutto nel centro e nelle aree che avevamo vocato al commercio. Il numero dei negozi chiusi a Parma supera già le 300 unità ed è qualcosa di epocale. E tutto questo non è bilanciato da un aumento di spesa nelle grandi superfici dove non c’è proprio una crescita. Si prevedono anche altre grandi superfici sul territorio, quindi bisognerà capire quali effetti ci saranno. Dall’altra parte abbiamo un gruppo di imprese manifatturiere ormai sempre più lanciate su mercati importanti. Abbiamo un gruppo di multinazionali sul territorio di Parma che sta reagendo molto bene e che forse non ha mai conosciuto la crisi più profonda. Abbiamo il sistema finanziario bancario che, come in tutta Italia, comincia a cercare nuove soluzioni anche se la situazione è ancora stabile. E poi abbiamo l’agroalimentare che è ripartito, dopo un momento di difficoltà. Non è più una crisi per settori, è una crisi di tipo aziendale: abbiamo industrie che trasformano il pomodoro che vanno benissimo, con fatturati neppure immaginabili 15 o 20 anni fa, e ne abbiamo altre che invece chiudono perché non si riesce a trovare una soluzione“.

Con le Amministrative alle porte, le chiedo: cosa si aspetta o, meglio, cosa dovrebbe fare la prossima amministrazione comunale per ridare slancio all’economia locale?

Prima di tutto voglio ricordare che questa è proprio una loro competenza: nel 1999 una legge che porta il nome di Bersani, spostò le competenze dalla Camera di Commercio ai Comuni per la parte che riguarda le licenze. Siamo andati verso un’apertura indiscriminata, che probabilmente sarà una delle cause dei disservizi che vedremo in futuro. Comincio a vedere qui, le cose che vedevo con angoscia in America: quando alle otto di sera chiudono negozi ed uffici, le aree del centro diventano aperte alla malavita. Questo, con l’aggiunta di una immigrazione che diventa sempre più difficile da contenere e che dà sempre più l’immagine di un’invasione preordinata più che di una fuga di gente alla ricerca di un futuro. In una situazione di questo genere, bisogna sapere come amministrare e ci vogliono degli amministratori che sentano il dovere di ‘sporcarsi le mani’ non di girarsi dall’altra parte. Questa è una delle problematiche che ha questa città. Bisogna tornare ad avere amministratori onesti che si sporcano le mani, che scelgano dove andare, cosa fare e la maniera in cui farlo. Questo è un obbligo di chi viene eletto, che ha molti oneri e pochi onori, ma bisogna dare risposte ai cittadini. Le città vivono anche di ‘spirito interno’, di solidarietà, di sistema di comprensione e di un’etica del territorio, che non è un’etica leghista ma è quella che nasce dalla nostra storia. Gli amministratori devono ascoltare la gente, non chiudersi in una torre d’avorio e magari comunicare attraverso mezzi moderni che però escludono una parte delle persone… Oggi bisogna sentire il grido di dolore che viene da una parte troppo grossa della città“.

Ettore Iacono

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