Lotta all’inquinamento, norma Ue mette a rischio la filiera del pomodoro da...

Lotta all’inquinamento, norma Ue mette a rischio la filiera del pomodoro da industria

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Damiano Zoffoli e Pierluigi Ferrari
Damiano Zoffoli e Pierluigi Ferrari

È una questione molto tecnica, ma che potrebbe costare alle imprese italiane di trasformazione del pomodoro da industria – in termini di adeguamento – sino a 90 milioni di euro in dieci anni, con il rischio di mettere in grossa difficoltà l’intera filiera italiana e in particolare quella del Nord Italia, dove si ha la maggiore produzione di concentrato. Il tema è quello della riforma, presentata dalla Commissione Europea, dell’Emission Trading System, ossia lo strumento, derivante dalla direttiva 2003/87 della Ce, utilizzato per controllare le emissioni in atmosfera a livello internazionale nel rispetto dei vincoli ambientali derivanti dal Protocollo di Kyoto.

La revisione attualmente in discussione penalizzerebbe le industrie di trasformazione del pomodoro e così l’Organizzazione Interprofessionale Pomodoro da Industria del Nord Italia ha iniziato un’attività di sensibilizzazione delle istituzioni politiche ed ha incontrato l’europarlamentare Damiano Zoffoli, componente della Commissione per l’ambiente.

“Nell’Emission Trading attualmente in vigore – ha spiegato il componente del comitato dell’OI Guido Conforti – alcuni sottosettori, come il nostro del concentrato, in base ad alcuni indici tecnici, sono esclusi da alcuni vincoli perché a rischio di delocalizzazione fuori dalla Ue. Con la riforma ora in discussione siamo stati inglobati nel settore più generale della trasformazione degli ortofrutticoli venendo, tra l’altro, sottoposti ai meccanismi dell’Emission Trading non tanto per il totale delle emissioni che produciamo, ma perché i nostri impianti verrebbero considerati come grandi impianti, viste la loro potenza termica installata, quando in realtà sono utilizzati solo due mesi all’anno durante l’attività di campagna”.

Un altro aspetto, che si traduce quasi in un paradosso, è che in realtà l’intera industria alimentare europea – l’8% del totale degli impianti interessati dalla riforma e che sono sottoposti alle quote di Co2 – emette soltanto circa l’1% di emissioni, una quota davvero ridotta per abbattere la quale conclude Conforti “sarebbe necessaria tanta burocrazia in più e un aggravio economico insostenibile per il settore, senza apprezzabili benefici ambientali”.

“Da questi scenari – ha aggiunto il presidente dell’OI Pier Luigi Ferrari – deriverebbero notevoli problematiche in termini di concorrenza extraeuropea e di costi che si ripercuoterebbero su tutta la filiera. Da tempo è in corso un confronto con il Governo italiano che ha recepito buona parte delle nostre proposte e vogliamo tenere alta l’attenzione su questi temi”.

Di contro l’onorevole Zoffoli ha assicurato il suo interessamento e il coinvolgimento degli altri esponenti politici italiani in Parlamento europeo per discutere di questi temi.

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