Se l’eterosessualità diventa obbligatoria, sia chiama omofobia

Se l’eterosessualità diventa obbligatoria, sia chiama omofobia

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Esiste un legame profondo tra la lotta contro l’omofobia e il mondo delle scienze psicologiche. La Giornata Internazionale contro l’Omofobia, infatti, si celebra il 17 maggio, lo stesso giorno in cui, nel 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimosse l’omosessualità dal novero delle malattie mentali. Una cancellazione che ha segnato un punto di partenza verso una società integrata, rispettosa di ogni persona.

Purtroppo discriminazioni e violenze sia fisiche che psicologiche, dovute principalmente ad ignoranza e pregiudizio, si riscontrano quasi quotidianamente nei confronti delle persone non dichiaratamente eterosessuali. Tali azioni denigratorie e aggressive possono indurre nella persona omosessuale uno stato di omofobia interiorizzata: l’individuo fa propria la disapprovazione sociale, assumendola in modo spesso inconsapevole, arrivando a non accettarsi e a provare vergogna di sé, fino a disprezzarsi. La persona può così tendere a osteggiare, a negare la propria soggettività. Inoltre, azioni omofobiche continuative possono ridurre la persona a una condizione di soggezione, di sofferenza psicologica, di isolamento ed emarginazione. Le conseguenze psicologiche possono essere estremamente gravi, con effetti importanti sull’autostima, sulle capacità socio-affettive, sull’identità personale. Possono riscontrarsi stati d’ansia, depressione ed, in alcuni casi, idee suicidarie, che purtroppo si possono tramutare in atti concreti. Essere vittima di omofobia può essere un’esperienza traumatica che lascia il segno per tutta la vita.

La prevenzione di situazioni di omofobia è possibile soprattutto con una buona informazione ed iniziative in grado di incoraggiare l’accettazione di tutti nel rispetto delle diversità di ciascuno. Interventi specifici che si pongono l’obiettivo di favorire la cultura della non violenza, delle differenze, del rispetto della persona umana, del rispetto dei diritti di chiunque – indipendentemente dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale – sono indispensabili per la creazione di una civiltà equa.

Non bisogna dimenticare che la prevenzione primaria dovrebbe partire dalla famiglia, ma soprattutto dai contesti scolastici, dove avvengono le prime esperienze sociali con coetanei estranei al proprio nucleo di riferimento. Purtroppo a scuola si evidenziano tuttora comportamenti di violenza di tipo verbale e fisico, propri del bullismo omofobico: derisioni, insulti, prese in giro, anche con scritte sui muri, o esclusione dal gruppo ed emarginazione, fino ad arrivare a vere e proprie aggressioni. Spesso tali atteggiamenti possono essere il risultato di un disagio psichico e relazionale del bullo, possono essere l’espressione della paura di non essere “nella norma”, un modo di affermare con violenza la propria presunta e rassicurante eterosessualità voluta dal contesto di riferimento sociale.

Le esperienze di rifiuto che provengono dalla famiglia o dalla scuola possono aumentare significativamente il rischio depressivo e l’ideazione al suicidio. Sono invece fattori protettivi un clima familiare positivo, il senso di sicurezza a scuola, la possibilità di contare su adulti amorevoli e rispettosi dell’alterità, che permettano la comunicazione della propria condizione di sofferenza, se avvertita, e del proprio orientamento sessuale.

A tutt’oggi gli stereotipi culturali presenti nel nostro sistema educativo, anche in modo invisibile, favoriscono l’egemonia dell’eterosessualità, che viene trasmessa come qualcosa di scontato e obbligatorio. È quindi necessaria la promozione di progetti di educazione all’affettività e alla socialità attraverso metodologie didattico-educative, supportate da valutazioni psicologiche che tengano conto delle diverse soggettività dei ragazzi. Tali azioni sono in grado di favorire un clima di benessere che incoraggi, da un lato, l’apprendimento e la crescita personale degli alunni, e dall’altro un contesto collaborativo tra gli adulti impegnati a vario titolo nel mondo scuola, prevenendo così ogni tipo di disagio, come auspicato anche dalla recente Legge n. 107/2015 c.d. “La Buona Scuola”.

Ordine degli Psicologi
dell’Emilia Romagna

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