Parlare genericamente di “sicurezza” non aiuta a trovare risposte

Parlare genericamente di “sicurezza” non aiuta a trovare risposte

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In queste settimane c’è la corsa a parlare di “sicurezza”. Si moltiplicano conferenze stampa, convegni, iniziative. Tutti ne parlano, ma in modo generico e indistinto. Sicurezza è diventata una parola omnibus, dove ci sta dentro di tutto: un contenitore in cui ognuno può mettere le proprie paure. In questo modo si dà l’impressione di occuparsene, si parla alla pancia delle persone, magari individuando il capro espiatorio di turno, ma non si danno risposte durature e concrete. Che infatti non emergono. Non è fotografando i presunti spacciatori lungo i viali che si dà ad esempio risposta ai furti nelle case o alle frodi agli anziani.

Se si vuole affrontare il tema in maniera seria per individuare risposte amministrative, sociali e di ordine pubblico appropriate bisogna prima di tutto saper distinguere, perché con la parola generica “sicurezza” vengono evocati reati e minacce, reali o percepite, molto diversi fra loro che chiamano in causa diversi soggetti istituzionali (Governo, Magistratura, Prefettura, Forze dell’Ordine, Comune) e vanno affrontati con interventi e strumenti mirati. Strumenti che non è detto siano sempre e solo le telecamere e le forze dell’ordine.

E quindi invece di parlare in modo generico di “sicurezza”, di “città sicura”, di “io non ho paura” bisognerebbe parlare di “sicurezze” (o “insicurezze”) specificando di volta in volta di quali sicurezze e, per converso, di quali paure si tratta.

Ci sono certo le (in)sicurezze legate ai reati della criminalità, che però non possono essere messe in unico calderone indistinto, perché diversi sono i responsabili e i fenomeni che sottendono.

C’è tra le più sentite la (in)sicurezza per i furti nelle case e nelle aziende, un fenomeno che colpisce soprattutto le frazioni violando i luoghi in cui dovremmo sentirci più sicuri. La (in)sicurezza connessa con lo spaccio di droghe, una piaga dilagante che prima o poi dovrà essere affrontata anche dal lato della domanda e di chi la consuma, alimentando un giro di affari illegale da decine di miliardi di euro. La (in)sicurezza per frodi e truffe che prende di mira soprattutto gli anziani. E la (in)sicurezza connessa con le infiltrazioni della criminalità organizzata in molti settori dell’economia locale, un fenomeno che il processo Aemilia ha rivelato in tutta la sua preoccupante estensione.

Ma ci sono anche le (in)sicurezze, non meno preoccupanti e gravi, legate alla fragilità economica e all’emarginazione sociale che la crisi di questi anni non hanno fatto che acuire: la (in)sicurezza di riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena, per sé e per la propria famiglia; la (in)sicurezza di mantenere il lavoro e una casa dove abitare.

E ci sono le (in)sicurezze che riguardano la incolumità delle persone: quella sul lavoro, su cui ancora c’è tanto da fare; quella nella propria casa, dove si consumano la maggior parte degli atti di violenza contro donne e minori; quella dei nostri anziani, che abbiamo visto non essere al riparo da maltrattamenti perfino nelle strutture cosiddette “protette”; quella stradale che continua a mietere vittime, come ci ricordano le biciclette bianche e i fiori sui cigli della strada; e quella da eventi calamitosi, come la recente alluvione del Baganza ci ha purtroppo insegnato.

E infine (ma si potrebbe proseguire) le (in)sicurezze che riguardano i nostri ragazzi più vulnerabili, vittime del bullismo e delle baby gang, che si manifestano anche e soprattutto attraverso i social network con conseguenze a volte drammatiche.

E’ evidente che per tutte queste (in)sicurezze non c’è un’unica ricetta e un’unica categoria di soggetti responsabili da perseguire, come qualcuno cerca di fare credere. E che la risposta non passa solo dal potenziamento, pur necessario, delle forze dell’ordine. Una forza politica di governo come il Partito Democratico deve sapere distinguere e cercare risposte a tutti i livelli istituzionali per ciascuna di queste (in)sicurezze, non inseguire chi invece le confonde in un’unica generica (in)sicurezza, senza avere alcuna soluzione da dare.

Se non vogliamo semplicemente cavalcare le paure per magari lucrare un po’ di visibilità e di facile consenso, ma ci interessa davvero impegnarci per proporre risposte praticabili sul piano amministrativo, smettiamola di parlare genericamente di “sicurezza” e cominciamo a distinguere e ad affrontare nella loro specificità le tante (in)sicurezze che ci riguardano, come persone e comunità.

Nicola Dall’Olio
Capogruppo PD Consiglio comunale di Parma

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