“Two Americans” di Francis Bacon in mostra alla Magnani Rocca

“Two Americans” di Francis Bacon in mostra alla Magnani Rocca

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Un’eccezionale asta da Sotheby’s a Londra, nel luglio 2015, decreta il “Bacon Myth”: in catalogo, oltre a due autoritratti del 1975 e 1980, l’opera del 1961 Study for a Pope I, nata dall’ossessione di Francis Bacon per il Ritratto di Innocenzo X di Velázquez e appartenuta a Gunter Sachs, noto playboy negli anni ’50 e ’60 e terzo marito di Brigitte Bardot. Il mito di Bacon (Dublino 1909 – Madrid 1992) raggiunge ora la Fondazione Magnani-Rocca: il celebre dipinto di Bacon Two Americans del 1954, appartenente alla Collezione Barilla di Arte Moderna, viene infatti esposto dal 9 settembre al 10 dicembre nella Villa dei Capolavori di Mamiano di Traversetolo. L’artista esegue il dipinto

presumibilmente a Ostia, ultima tappa di un breve soggiorno in Italia nell’autunno del 1954. I personaggi ritratti sono due americani che Bacon aveva visto talvolta affacciandosi dalla finestra del suo albergo a Roma. In uno spazio arcano colloca due busti di uomini in completo scuro, camicia bianca e cravatta, forse a simbolo della mascolinità contemporanea con la tenuta tipica dell’uomo d’affari, che sembrano materializzarsi dal buio profondo dello sfondo. Un semplice spazio quadrangolare originato da sottili filamenti bianchi che tracciano il perimetro del muro di fondo e quello delle mura laterali di un cubo nero e compatto crea una scatola di vetro, una cornice che non serve ad altro se non a isolare e concentrare l’attenzione sull’immagine che contiene, permettendo di vederla meglio.

Preoccupazione costante per l’artista è, fin dagli esordi, che tra due figure tenda inesorabilmente a insinuarsi una storia. Soltanto l’azione di tondi o di parallelepipedi che isolino la figura nel quadro impedirà che una storia s’insinui nell’insieme rappresentato, esorcizzandone quindi il carattere illustrativo e narrativo. Isolare è per Bacon il modo più semplice per spezzare la narrazione, impedire l’illustrazione, liberare perciò la figura attenendosi al dato di fatto. A colmare il resto del quadro non sarà né il paesaggio, né un qualsivoglia elemento informale; esso, piuttosto, verrà occupato da grandi campiture di colore cupo e tetro aventi come unico intento di attrarre la forma. Da questo spazio insondabile emergono due volti in fase di dissolvimento, sottoposti a un’evidente distorsione sotto i colpi dei pennelli e delle spatole, o a causa dei colori che l’artista stesso spreme sulla mano e poi scaglia direttamente contro la tela.

Bacon spiega che: “in quei momenti sono pronto a tutto: cancello con lo straccio o prendo il pennello e frego via quello che ho appena dipinto, ci passo sopra l’acquaragia, ci dipingo sopra qualcos’altro … tutto pur di spezzare l’organizzazione razionale dell’immagine, purché cresca spontaneamente, cioè secondo la propria struttura e non quella che io le impongo” […] “io voglio deformare le cose al di là dell’apparenza, ma allo stesso tempo voglio che la deformazione registri l’apparenza”.

L’uomo a sinistra è caratterizzato da una bocca lievemente allargata in un ghigno beffardo che scopre tutta la dentatura e deforma i tratti del viso come in un’immagine radiografica. Ammetterà, in seguito, Bacon di essersi rifatto ad alcune radiografie pubblicate nel libro Positioning in radiography acquistato durante un viaggio a Berlino. Il suo è un sorriso inquietante poiché è proprio in funzione di questo sorriso che il viso va disfacendosi, come sotto l’azione di un acido corrosivo divenendo insostenibile, intollerabile. Solo il sorriso insistente che Bacon suggerisce di chiamare sorriso isterico saprà sopravvivere alla dissipazione del volto e alla prossima e ineluttabile cancellazione del corpo. Anche l’uomo di destra, tuttavia, è sottoposto alle medesime forze di deformazione che s’impossessano della testa della Figura, divenendo visibili come se la testa stesse tentando di scrollarsi di dosso il suo stesso volto.

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