Il 19 febbraio una messa per ricordare il giornalista Francesco Saponara

Il 19 febbraio una messa per ricordare il giornalista Francesco Saponara

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Francesco Saponara
Francesco Saponara in cima al Campanile del Duomo di Parma

Ricordare chi ci ha dovuto lasciare troppo presto è doloroso. Il ricordo rievoca il senso della precarietà della vita dei suoi sogni e delle sue speranze ma solo ricordando continuiamo a far vivere chi abbiamo amato. Un ragazzo degli anni ’80 con un diploma da geometra, una laurea in filosofia e un lavoro da giornalista. Cosi si descriveva Francesco Saponara, scomparso improvvisamente sei anni fa all’età di 37 anni.

La moglie e la figlia ricorderanno il sesto anno della scomparsa di Francesco con una messa in suffragio che sarà celebrata presso la parrocchia di San Lorenzo, ad Alberi, alle 11.15 di domenica 19 febbraio. La famiglia ringrazia in anticipo tutti gli amici, i colleghi e i parenti che vorranno unirsi nel ricordo di Francesco.

Ho pensato e ripensato a cosa scrivere in occasione del suo anniversario di morte. A volte non ci sono parole ma solo silenzi dell’anima. Ho riletto un suo articolo e non ho avuto più dubbi“, rivela la moglie.

Ecco, per ricordare Francesco, uno dei suoi scritti.

Toccare il cielo con un dito
di Francesco Saponara

Mi è successo, o mi è sembrato che fosse così, quel giorno in cui tutti gli occhi di molti parmigiani erano puntati all’insù a guardare il campanile del duomo. Un fulmine aveva colpito l’angioletto e un incendio aveva danneggiato la cupola. E’ stata come una sorta di segnale arrivato dall’Alto, perché sotto quella copertura di rame è stata scoperta una vera e propria opera d’arte: un antico tesoro rimasto “segreto” per 150 anni. Ebbene lassù per lavoro ci sono andato. Non è da tutti e non tutti i giorni si fa un’esperienza del genere. 67 metri ad altra quota su una scala mobile dei pompieri. Esperienza unica. Metro dopo metro. Ma più salivo, impedendomi di non guardare in basso, più mi rendevo conto di quanta fede avessero gli antichi. Già perché la cattedrale si sa è vecchia di quasi mille anni. E allora, in quel tempo quando non c’erano le moderne tecnologie, fedeli, sacerdoti e preti innalzavano cattedrali. Quella che è lì in piazza Duomo l’ammiriamo al nostro passaggio, ma vedere le cose dall’alto ha tutta un’altra prospettiva. Un’altra visione. In primo luogo non te lo immagini. Non pensi certo che svegliandoti la mattina ti possa succedere una cosa del genere. Poi certo, ci vuole molto coraggio ad andare così in alto. Esperienza unica che deve partire dal cuore. Dall’anima. Non è solo curiosità, ma anche ricerca. Giornalistica, ma soprattutto di fede. Perché le riflessioni in questo senso arrivavano una dopo l’altra, metro dopo metro, mentre la piattaforma saliva. Certe esperienze si fanno perché mossi dal lavoro (certo), ma anche da valori o da quella sana ignoranza di conoscere il mondo da un altro punto di vista. Ebbene lassù guardare in basso è stato meraviglioso (e pauroso allo stesso tempo) ma si vede il cuore di Parma. Quello della fede e della politica. I tetti delle case, il vescovado, il seminario, perché no anche dell’istituto diocesano sostentamento clero.  E’ stata un’esperienza unica. Che più di mille libri di storia ti fa immaginare i religiosi, o chi per loro, decisero di costruirla questa antica cattedrale, e, soprattutto, chi all’opera ci lavorò mettendo a repentaglio la propria vita perché le antiche impalcature e i mezzi a disposizione non sono certo sicuri come quelle moderne. Quanta fede in quei gesti di progettisti e operai che ai posteri, noi e chi verrà dopo, hanno lasciato. Piccole riflessioni che spesso nella vita frenetica di tutti i giorni lasciamo in qualche lettura solitaria della sera o in qualche immagine di documentari e film di approfondimento. Eppure, anche senza salire a 67 metri sopra il cielo, ogni giorno dovremmo guardare le cose, o sforzarci di farlo, da un altro punto di vista. Che può essere quello di un immigrato, un povero, un disoccupato, un malato… Fanno bene allo spirito e all’anima. Anche questi sono segni di Fede.

(da “In Cammino”, anno XIII, numero 103, dicembre 2009)

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